25.11.08

Israele e Palestina: CONTRO OGNI RAZZISMO

LA VIGNETTA DI FORATTINI TACCIATA DI RAZZISMO



CONTRO OGNI RAZZISMO MASCHERATO


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le prime pagine delle bustine di Minerva di Umberto Eco
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MIGRAZIONI DEL 1990..

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Martedì scorso, mentre tutti i giornali dedicavano numerosi articoli alle tensioni fiorentine, su la Repubblica appariva una vignetta di Bucchi: rappresentava due silhouette, un'Africa enorme e incombente, un'Italia minuscola; accanto, una Firenze che non era rappresentabile neppure con un puntino (e sotto c'era scritto "Dove vogliono più polizia"). Sul Corriere della Sera si riassumeva la storia delle mutazioni climatiche sul nostro pianeta dal 4000 a.C. a oggi.
E da questa rassegna emergeva che a mano a mano la fertilità o l'aridità di un continente provocavano immense migrazioni che hanno cambiato il volto del pianeta e creato le civiltà che oggi conosciamo o per esperienza diretta o per ricostruzione storica.
Oggi, di fronte al cosiddetto problema degli extracomunitari (grazioso eufemismo che, come è stato già notato, dovrebbe comprendere anche gli svizzeri e i turisti texani), problema che interessa tutte le nazioni europee, continuiamo a ragionare come se ci trovassimo di fronte a un fenomeno di immigrazione. Si ha immigrazione quando alcune centinaia di migliaia di cittadini di un paese sovrappopolato vogliono andare a vivere in un altro paese (per esempio gli italiani in Australia).
Ed è naturale che il paese ospitante debba regolare il flusso di immigrazione secondo le proprie capacità di accoglienza, come va da sé che abbia il diritto di arrestare o espellere gli immigrati che delinquono - così come d'altra parte ha il dovere di arrestare, se delinquono, sia i propri cittadini che i turisti ricchi che portano valuta pregiata.
Ma oggi, in Europa, non ci troviamo di fronte a un fenomeno di immigrazione.
Ci troviamo di fronte a un fenomeno migratorio. Certo non ha l'aspetto violento e travolgente delle invasioni dei popoli germanici in Italia, Francia e Spagna, non ha la virulenza dell'espansione araba dopo l'Egira, non ha la lentezza di quei flussi imprecisi che hanno portato popoli oscuri dall'Asia all'Oceania e forse alle Americhe, muovendosi sopra lingue di terra ormai sommerse.
Ma è un altro capitolo della storia del pianeta che visto le civiltà formarsi e dissolversi sull'onda di grandi flussi migratori, prima dall'Ovest verso l'Est (ma ne sappiamo pochissimo), poi dall'Est verso l'Ovest, iniziando con un movimento millenario dalle sorgenti dell'Indo alle Colonne d'Ercole, e poi in quattro secoli dalle Colonne d'Ercole alla California e alla Terra del Fuoco.

Ora la migrazione, inavvertibile perché assume l'aspetto di un viaggio in aereo e di una sosta all'ufficio stranieri della questura, o dello sbarco clandestino, avviene da un Sud sempre più arido e affamato verso il Nord.
Sembra una immigrazione, ma è una migrazione, è un evento storico di portata incalcolabile, non avviene per transito di orde che non lasciano più crescer l'erba dove sono passati i loro cavalli, ma a grappoli discreti e sottomessi, e però non prenderà secoli o millenni, ma decenni.
E come tutte le grandi migrazioni avrà come risultato finale un riassetto etnico delle terre di destinazione, un inesorabile cambiamento dei costumi, una inarrestabile ibridazione che muterà statisticamente il colore della pelle, dei capelli, degli occhi delle popolazioni, così come non molti normanni hanno installato in Sicilia dei tipi umani biondi e con gli occhi azzurri.
Le grandi migrazioni, almeno in periodo storico, sono temute: dapprincipio si tenta di evitarle, gli imperatori romani erigono un vallum qua e uno là, mandano le quadrate legioni in avanti per sottomettere gli intrusi che avanzano; poi vengono a patti e disciplinano le prime installazioni, quindi allargano la cittadinanza romana a tutti i sudditi dell'impero, ma alla fine sulle rovine della romanità si formano i cosiddetti regni romano-barbarici che sono all'origine dei nostri paesi europei, delle lingue che oggi orgogliosamente parliamo, delle nostre istituzioni politiche e sociali. Quando sulle autostrade lombarde troviamo località che si chiamano italianamente Usmate, Biandrate, abbiamo dimenticato che sono desinenze longobarde. D'altra parte, da dove venivano quei sorrisi etruschi che ritroviamo ancora su tanti volti dell'Italia centrale?
Le grandi migrazioni non si arrestano.
Ci si prepara semplicemente a vivere una nuova stagione della cultura afroeuropea.


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25-11-2008
La visita di Napolitano in Israele


Il Presidente Napolitano oggi torna in Israele ventidue anni dopo la sua prima visita, svoltasi nell’86. Chi scrive partecipò a quella missione, e contribuì a organizzarla. Essa rappresentò certamente un salto di qualità nel rapporto tra sinistra italiana, ed in particolare il PCI di allora, ed Israele: un rapporto che si era lacerato dopo la Guerra di sei giorni, e che solamente un paziente lavoro di ricucitura, ed anche una chiara battaglia politica verso residue soggezioni a unilateralistiche logiche di campo consentirono di superare.

L’apertura ad Israele del PCI (di cui Napolitano era allora il responsabile internazionale) rappresentò un messaggio di svolta, rivolto anche all’ebraismo italiano, ma sicuramente esso guardava agli Stati Uniti, presso cui egli stava svolgendo un paziente lavoro di accreditamento, ed anche alla Unione Sovietica, verso cui egli stesso fece pressioni, riuscendo a ottenere da Mosca una dichiarazione di attenzione alle esigenze di sicurezza dello Stato ebraico, nei limiti del rispetto delle esigenze nazionali palestinesi. Questo per dire che da quella visita scaturì un paziente lavoro di tessitura diplomatica, volto a superare i muri di incomunicabilità creati dal conflitto.

Ma vi fu un altro elemento che su cui si concentrò la riflessione, la questione del sionismo. La parola non aveva ancora corso libero nel PCI, e su questo il leader comunista era ancora prudente: ricordo una sera, trascorsa in un Kibbutz con tutta la leadership del MAPAM (il partito della sinistra socialista poi confluito nel Meretz), in cui la discussione si concentrò proprio sul sionismo, che gli israeliani chiedevano di riconoscere come legittimo movimento di liberazione nazionale. Quella sera Napoletano fu cauto: “ci abbiamo messo tanto – interloquì a un certo punto – a superare il marxismo-leninismo con il trattino, ed ora voi ci chiedete di adottare marxismo-sionismo”.


Ma quella discussione lasciò il lui tracce profonde, e se ne trova l’eco in quella dichiarazione del 29 gennaio 2007, nel giornata della memoria, in cui egli affermò che era necessario combattere ogni forma di antisemitismo, “ anche quando esso si travesta da antisionismo perché significa negazione della fonte ispiratrice dello stato ebraico, delle ragioni della sua nascita, ieri, e della sua sicurezza oggi, al di là dei governi che si alternano nella guida di Israele”. Ed ancora ieri, nella intervista al Corriere della Sera, egli tornava sulla questione, affermando che “il movimento sionista si ispirò in non piccola parte al pensiero di Giuseppe Mazzini, a una visione universalista delle aspirazioni all’indipendenza nazionale dei nostri popoli, di tutti i popoli”.

Un altro suo aspetto caratterizzante è la convinzione che essere amici di Israele non significa essere meno amici della parte palestinese: la battaglia per il riconoscimento del diritto all’esistenza e alla sicurezza dello Stato di Israele va di pari passo con quella per la costruzione di uno Stato palestinese. I due aspetti non configgono, ma si rafforzano vicendevolmente. L’uno non può essere raggiunto senza l’altro.

Quello di Napoletano è infine uno sguardo laico, non offuscato da pregiudizi ideologici, un approccio estremamente realistico. E certamente egli si sarà posto, in questi giorni della visita, il problema di cosa resti oggi del sionismo, e di quanto il processo accelerato di colonizzazione dei territori palestinesi abbia potuto deteriorare quel progetto.
La situazione politica che oggi troverà a Gerusalemme il nostro Presidente è densa di incognite: il processo diplomatico avviato un anno fa ad Annapolis non è arrivato a conclusione, anche per le dimissioni anticipate di Olmert in seguito agli scandali in cui era coinvolto, e le prossime elezioni anticipate non promettono molto di buono: secondo gli ultimi sondaggi, Netanyahu, il leader del Likud, avrebbe un netto vantaggio di oltre sei seggi sulla Livni, leader di Kadima, e il centro destra sarebbe in netto vantaggio sul centro sinistra, anche includendo in esso i partiti arabi.

Naturalmente, l’elezione di Obama può influenzare positivamente l’elettorato, ma il suo insediamento, il prossimo 20 gennaio, avverrà troppo a ridosso delle elezioni del 10 febbraio, e sarà difficile che il suo nuovo approccio, molto più realistico e scevro dagli apriorismi ideologici del suo precedessore, possa già dispiegare i suoi effetti.
E’ probabile che i nuovi governanti israeliani siano chiamati a scelte assai difficili: è nota l’attenzione che il nuovo Presidente USA porta al Piano arabo del 2002, che postula la restituzione dei territori occupati nel ’67, la creazione di uno Stato palestinese con capitale Gerusalemme Est, ed una soluzione “equa e concordata” del problema dei rifugiati, in cambio del riconoscimento e della pace con tutti gli Stati arabi. I margini di manovra potrebbero perciò decisamente restringersi: ma anche per questo gli elettori israeliani potrebbero preferire un negoziatore duro, proprio come Netanyahu.
Di tutto questo Napoletano discuterà certamente a fondo e senza autocensure, come solo un vero amico può fare.

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ABBRACCI


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VITTORIO ARRIGONI


Il pacifista italiano Vittorio Arrigoni, attivista per i diritti dei palestinesi, è stato arrestato ieri (martedì 18) con altri due cooperanti internazionali mentre stava accompagnando al largo a pescare, ovvero a procurarsi di che vivere, 15 pescatori della Striscia di Gaza, anch’essi imprigionati. Attraverso il passaparola di internet la notizia si è diffusa, raggiungendo anche alcuni media, ma non il Tg1, che si è dilungato sui «Cucù» di Berlusconi alla Merkel. Intanto, a quanto pare, i prigionieri sono stati sottoposti a scosse elettriche, come lo stesso Arrigoni ha dichiarato in serata, in una telefonata al padre. Facciamo circolare la notizia e adoperiamoci tutti per i tre attivisti, che probabilmente Israele si limiterà ad espellere, e per i 15 palestinesi, la cui liberazione non mi sembra altrettanto scontata. Secondo il quotidiano israeliano Yedioth Ahronoth (credo che sia un giornale abbastanza progressista, per ciò che la parola può significare), l’attivista ingelse arrestato con Vittorio ha iniziato uno sciopero della fame per protestare contro la decisione di espellerlo. Sul sito è possibile commentare gli articoli (talkback) e forse varrebbe la pena lasciare qualche commento, come potrebbe essere utile scrivere all’Ambasciata israeliana a Roma.


CAMILLERI RACCONTA:





Infopal, mercoledì 19 novembre, ore 19.

Abbiamo intervistato Vittorio Arrigoni, attivista dell'International Solidarity Movement, rapito ieri dalle forze israeliane mentre si trovava in mare con i pescatori di Gaza, anch'essi sequestrati e poi liberati questa mattina.

Al momento, Vittorio è rinchiuso nel carcere di Ramle. Si sente un gran frastuono: i suoi compagni di cella, rifugiati eritrei fuggiti dalla guerra, stanno guardando una partita.

Come stai?

Eh, ora che ho ripreso contatto con il mondo esterno, meglio...La notizia della liberazione dei 15 pescatori mi ha tirato su di morale.
Ieri avevamo iniziato uno sciopero della fame, proprio per ottenerne la scarcerazione...

Ci racconti cos'è successo ieri mattina? Sai, un importante quotidiano italiano, che oggi ha riportato un trafiletto sul vostro sequestro, ha parlato di pescatori e attivisti "prelevati" dai militari israeliani...Per il resto, tg e testate più importanti hanno osservato il silenzio assoluto.


Altro che "prelevati"!
Si è trattato di un rapimento, di un sequestro di persona in piena regola! Eravamo in mare, a 6 miglia nautiche al largo delle coste di Gaza (per il diritto internazionale si tratta di acque gazesi, ndr), con tre pescherecci, quando ci siamo di trovati di fronte una scena incredibile: navi da guerra, e gommoni Zodiac, da cui sono spuntate teste di cuoio, militari incappucciati e armatissimi. Un attacco bellico in piena regola contro pescatori e pacifisti, da non crederci! Due pescherecci sono stati subito bloccati e le persone a bordo sequestrate. Poi, hanno circondato il nostro. Io mi sono arrampicato sul tetto della barca e ho cercato di parlare al capitano: "Che problema vi creano dei pescatori? Problemi di sicurezza? Di che avete paura?", ho chiesto. Ma non ne ho ottenuto risposte. Da dietro le maschere, quegli uomini, giovanissimi, ci guardavano con occhi che sprizzavano odio. Un odio animalesco. Li educano all'odio e al disprezzo verso i palestinesi.

Poi, com'è andata a finire?

Sono saltati a bordo, all'arrembaggio. Ho detto loro, mentre mi puntavano le loro armi contro la testa: "Allora, uccidetemi!". Mi hanno sparato contro con una pistola elettrica, la Taser, made in Usa, che scarica scosse elettriche ad alto voltaggio, molto pericolose. Poi, hanno cercato di buttarmi giù dal tetto, temendo di cadere e rompermi la spina dorsale, mi sono gettato in mare e ho iniziato a nuotare verso riva, inseguito dagli spari di proiettili veri. Dopo mezz'ora non avevo più fiato e mi sono arreso. Mi hanno portato insieme agli altri nella prigione di Ashkelon, dove ho assistito a scene allucinanti, da campo di concentramento: i pescatori sono stati costretti a spogliarsi e sono stati ammanettati come criminali e portati via. Dico, dei pescatori! Io sono finito nella prigione dove tre anni fa fui rinchiuso e picchiato dai soldati israeliani. Che brutti ricordi. Ci hanno accolto con pesanti insulti, ingiurie, risate di scherno...Sono stato rinchiuso con un altro in un cesso, sì, in un cesso, un posto schifoso e angusto. Per spregio, ovviamente. E sono stato tenuto incatenato alle caviglie.

L'ambasciata italiana si sta occupando del tuo caso....

Sì, ho ricevuto la visita del Console. Pensa che si è rivolto alla direzione carceraria dicendo loro che avevo il diritto di telefonargli, "secondo il diritto internazionale". Ha usato questa espressione, con loro, che del diritto internazionale e umanitario se ne fanno un baffo....

E ora, ti manderanno via...

Stiamo aspettando la sentenza di espulsione...Ho lasciato tutto nel mio appartamento di Gaza - passaporto, documenti...E sono molto dispiaciuto per il buon lavoro che stavamo portando avanti con contadini e pescatori, che con la nostra espulsione verrà interrotto.

Che è esattamente ciò che vogliono...

Già...Cercano di intimidirci. Sono preoccupato anche per i pescatori, a cui hanno sequestrato le tre barche...Esse danno lavoro e sostentamento a circa 50 famiglie. Ma almeno sono liberi...Altri, prima di loro, hanno passato mesi in carcere, nel Negev...

Se vi mandano via, tornerete?

Vorrei tornare con il prossimo viaggio di Dignity, a dicembre. Certo, faranno di tutto per impedircelo.


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ferite di pace Vittorio Arrigoni

Sappiamo a quali notevoli rischi andiamo incontro,
ma siamo al contempo parecchio stanchi e frustrati dell'inerzia della comunità internazionale,
è ora che qualcuno si muova per cercare di frenare il lento genocidio di un milione e mezzo di innocenti.

Non ne possiamo più di far finta di niente,
di girarci dall'altra parte dinnanzi alle stragi quotidiane,
alla vista di quell' immensa prigione a cielo aperto che oggi è Gaza.

Cercando di rompere l'assedio,
vogliamo restituire ai palestinesi una parte della loro libertà negata. Quella sovranità della Palestina sancita dall'Onu e dalle leggi internazionali.
Porteremo con noi delle reti,
e se riusciremo a sbarcare per prima cosa porteremo a pescare con noi i pescatori palestinesi,
oggi ridotti a bersagli galleggianti per i cecchini sulle navi da guerra israeliane.

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Mi sono recato a sfilarmi i punti all'ospedale Al-Awda,
è rimasto sulla pelle scarificata a vita, un ricamino niente male (todà Israel),
come la dentatura di un vorace squale meccanico,
che da sempre infesta queste acque predando le sue vittime assiediate,
pescatori palestinesi.

Di quanto sangue innocente si è fatta pastura per la fauna ittica che popola le acque dinnanzi a Gaza?

Attendo impaziente che il mare plachi la sua ira,
e ci permetta di tornare al largo a pescare, a rivendicare il diritto violato,
diritto alla vita, quantomeno alla sopravvivenza per questa gente immersa nel suo legittimo spazio marittimo.

Ci sono svariegate ragioni per cui usciamo a pescare coi palestinesi,
alcuni visibilmente concrete e vitali, altre dai connotati simbolici, ma non meno essenziali.
Una giornata al largo con noi, a detta dei pescatori equivale ad una settimana di ordinario lavoro,
quando senza internazionali a bordo non si arrischiano a spingersi più di qualche miglia dal porto, dove il pescabile è miserevole,
perchè se lo fanno sono morti, feriti quando va bene.
(vale la pena ricordare che prima dell'assedio imposto da Israele, erano oltre 3.500 i pescatori professionisti lungo i 40 km costieri della Striscia a Gaza; di questi, oggi solo 700 continuano a impegnarsi in un settore che dava lavoro ad almeno 40.000 persone, tra meccanici, pescivendoli e le migliaia di famiglie di pescatori locali, che oggi a stento sopravvivono)

Il giorno dopo una nostra battuta di pesca, il prezzo del pesce al mercato si vende a prezzo stracciato.
C'è più offerta, i prezzi calano, più bocche si sfamano.

I proprietari di diversi pescherecci, prima del nostro arrivo, erano seriamente intenzionati a vendere le barche, per via del prezzo del carburante elevato, e nessuna prospettiva di reddito futuro. Ora, oltre a effettivamente contribuire a maggiore redditi, ci hanno comunicato più volte quanto il nostro supporto abbia funto a iniezione benefica di speranza,
inoculata in una umanità che di speranza era in crisi di astinenza.

Oltre ai palpabili successi che le nostri azioni in mare ottengono, ve ne sono altri simbolici altrettanto edificanti come quelli pratici.

Con la Free Gaza e la Liberty abbiamo aperto il porto di Gaza, coi rudimentali pescherecci palestinesi cerchiamo ogni giorno di aprirne il mare, consapevoli che non è solo per i pescatori, ma per i palestinesi tutti, che ci attiviamo ostinatamente nel rivendicare il loro diritto ad una vita liberata dalla schiavitù della prigionia, l'assedio, il crimine contro l'umanità di cui si macchia Israele.

Se l'esercito israeliano, o il burattinaio che ne muove gli spinati fili in Israele,
ritiene d'avermi messo fuori gioco dopo la ferita che mi hanno inferto,
voglio dichiarare una cosa sola,
poveri illusi.

Me, Darlene, Donna, Fiona, Jenni, George, Andrew,
dovrete ammazzarci tutti,
prendervi la responsabilità dinnazi al mondo ed ad un Dio,
che nella Torah come nel Corano non giustifica in alcun modo l'omicidio di innocenti a sangue freddo.
Farci fuori tutti.

Mi piacerebbe riuscire ad interloquire coi soldati israeliani che ci attaccano ogni giorno, che ho scorto da così vicino da focalizzare il bianco nei loro freddi occhi, l'ultima volta quando mi hanno ferito;
chiedere loro se davvero ritengono che sparare a dei civili disarmati, internazionali o palestinesi, mentre sopra vascelli palestinesi semplicemente pescano, in acque palestinesi,
se tutto questo per loro significa davvero IDF, ovvero difendere lo stato d'Israele.

Come pacifista non me lo auguro in nessun modo,
ma davvero non mi sorprenderei affatto se un giorno, uno di questi giovanissimi pescatori palestinesi,
a cui Israele nega la speranza di una vita degnamente vissuta, collezionati lutti su lutti, di padri, amici, fratelli,
uccisi o feriti o seppelliti per anni in qualche inumana prigione israeliana,
dicevo non mi soprenderei se uno di questi decidesse di mollare le reti e imbracciare un kalashinikov.

Perchè è questo che insegna Israele, con le sue navi da guerra, le incursioni, l'occupazione militare dei confini,
ai giovani palestinesi di Gaza,
imponendo l'assedio come punizione collettiva, negando diritti umani,
Israele si fa responsabile della messa a rischio di tutta la sua cittadinanza, da Ashkelon a Tel Aviv,
insegnando l'odio alle sue vittime innocenti,
impartendo ai palestinesi quotidiane lezioni di puro odio incancrinito.


Continueremo ad andare per mare, per nulla intimoriti dalle avvisaglie di terrore che la marina israeliana ci spara contro, finchè la politica, l'attivismo di alto bordo, quella che si ritiene la società civile impegnata, la smettano di voltare così vergognosamente le spalle a quella che Nelson Mandela definisce "la questione morale dei nostri tempi".
Vogliamo dimostrare ai palestinesi che qui ci hanno adottati,
che sussiste nel mondo ancora una minoranza di uomini e donne disposti a riscattare sulla propria pelle, ora cicatrizzata,
tutta l'omertà e l'indifferenza di una maggioranza apatica dinnanzi a questa immane tregedia.

Io credo che siano tanti gli esseri umani ancora immuni al virus dell'indifferenza e all'egotismo,
ovunque sul pianeta,
e per questo che vi chiamo all'appello,
non lasciateci soli,
non voltate le spalle dinnazi al vostro fratello succube di una profonda ingiustizia.

Venita a darci umano,
o in qualche modo sosteneteci,
Da lontano siateci vicini.

Restate,
restiamo umani.

Vittorio Arrigoni
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